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Figura tra le più ricche del panorama filosofico-intellettuale italiano della prima metà del Novecento, Colorni fu partigiano e martire antifascista nelle fila dei socialisti. A partire dagli anni del confino, egli contribuì alla stesura del Manifesto di Ventotene e, insieme con Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Ursula Hirschmann, è considerato uno dei maggiori ispiratori del federalismo europeo. L'interesse per il pensiero filosofico colorniano - che in questo volume è approfondito nella sua interezza - risiede nel particolare percorso storico e culturale dell'autore. Nato nel 1909 a Milano da famiglia ebraica, allievo di Piero Martinetti e di Giuseppe Antonio Borgese, Colorni scoprì la filosofia tramite la lettura del Breviario di estetica di Benedetto Croce. Gli studi leibniziani, ai quali il giovane pensatore fu indirizzato dal magistero martinettiano, rappresentano un primo tentativo di svincolarsi dall'eredità dello storicismo crociano, ma è all'incontro triestino con Umberto Saba che lo stesso Colorni attribuisce la svolta metodologica e "antifilosofica" della maturità. L'originalità dell'impostazione kantiana, l'attenzione per la psicoanalisi e per l'epistemologia, l'immersione nella pratica scientifica vera e propria - sempre accompagnata dal tentativo di non ignorare quei motivi d'irrazionalità che ne concorrono a modellare la struttura - rendono conto della curiosità che la riflessione colorniana suscitò negli ambienti della più avanzata filosofia scientifica del dopoguerra, curiosità testimoniata dalle vicende che accompagnarono la pubblicazione dei frammenti metodologici trascritti in appendice al volume. Fuggito nel 1943 dal confino di Melfi, dove era stato trasferito da Ventotene, Colorni si immerse in una intensissima lotta clandestina. Fu assassinato a Roma nel 1944 (pochi giorni prima della liberazione della città) per mano dei sicari della banda Koch. Nel 1946 gli venne conferita la medaglia d'oro al valor militare.